INTERVISTA A SAMAH SALAIME
ISMED-Mediazione / ADRMEDLAB - Interviste di Francesca Chirico
Con la direttrice dell'Ufficio Comunicazione del Villaggio Wahat al-Salam Neve Shalom, Samah Salaime abbiamo parlato schiettamente della situazione fra israeliani e palestinesi ormai impantanati in un atavico conflitto che grazie a molte realtà impegnate per il dialogo e la riconciliazione sta mutando percezione in una parte di cittadinanza.
Abbiamo visitato a novembre il villaggio, unico in Israele, in cui circa 100 famiglie ebree e palestinesi vivono insieme nel mutuo rispetto delle loro culture, costruendo strumenti di educazione per una gestione pacifica del conflitto.
Il nome, in ebraico e in arabo, Neve Shalom Wahat al-Salam significa: “Oasi di pace”. Il Villaggio è sogno che su una collina a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv ha messo radici dall’inizio degli anni Settanta quando fu fondato da Padre Bruno Hussar.
In questa porzione di terra divisa dal conflitto, queste famiglie hanno scelto di abitare e far studiare i propri figli insieme, dando vita a un modello concreto di coesistenza alla pari e aprendosi al resto del Paese e alle altre realtà, israeliane e palestinesi, che lavorano per costruire il dialogo: “Non siamo uguali, siamo diversi. E la questione è: come co-esistere, nonostante le differenze. Non è affatto una utopia quella che viviamo qui”.
Al Villaggio sorge la Scuola per la Pace punto di incontro di tanti negoziatori che si formano sulle tecniche di gestione del conflitto attraverso seminari, corsi, workshop e simulazioni.
"Di tutte le parti del mondo, l'Europa è quella
che può comprendere meglio perché
ha visto crollare alla fine ogni muro costruito
per separare razza da razza,
e alla fine ha visto la vita sconfiggere la separazione"
Intervista tradotta dall'inglese all'italiano
Come è nato il villaggio di Wahat al- Salam Neve Shalom?
Wahat al - Salam Neve Shalom (WAS-NS) è stato fondato nel 1970 sul territorio del Monastero di Latrun.
Il villaggio insiste prevalentemente entro l’area del 1949-1967 nella “No Mans' Land” (“Terra di Nessuno” sezione che era controllata da Israele). Il resto del villaggio si trova completamente entro i confini di Israele ante 1967.
Wahat al- Salam Neve Shalom è stato fondato da un gruppo di famiglie palestinesi ed ebree impegnate a costruire la giustizia, la pace e l’uguaglianza nella regione, guidati da Bruno Hussar.
Bruno avrebbe festeggiato il centododicesimo compleanno il 05.05.2023. È stato tenace nell’inseguire il suo sogno di creare un luogo in cui la gente di questa terra potesse vivere insieme nonostante le differenze nazionali e religiose.
La motivazione di Bruno è stata così stimolante che ancora oggi è d’esempio per tutti noi; la sua eredità è - e per sempre sarà - quella di mantenere i valori fondamentali della pace e del dialogo.
Come sue volontà Bruno scrisse: “Qui a Wahat al- Salam Neve Shalom, abbiamo un unico scopo: la riconciliazione pacifica tra i nostri due popoli. Per lavorare fruttuosamente verso questo obiettivo, abbiamo bisogno della comprensione e comprensione reciproca di ciascuno di noi. Questo significa amore. Davvero desidero che quello che facciamo insieme sia fatto come un atto di amore, riconciliazione e pace tra tutti i membri di Wahat al- Salam Neve Shalom.”
Nell’ombra del conflitto nazionale abbiamo deciso di vivere insieme nella prima e unica comunità condivisa. Contro ogni previsione, basandoci sui valori dei nostri fondatori, siamo riusciti non solo a sopravvivere ma a crescere e influenzare la società intorno a noi.
Alla base del Villaggio ci sono la legittimità reciproca, il bilinguismo e il dialogo interreligioso. Al centro del paese sorge la Casa del Silenzio, nel Pluralistic Spiritual Center (PSCC). C'è il rischio di sincretismo religioso o le differenze sono davvero un elemento di comunione?
Il Pluralistic Spiritual Center è stato fondato da Anne Le Meignen e Bruno Hussar, fondatori del Villaggio. È importante sottolineare già nel nome, che il Pluralistico viene prima dello spirituale.
Come comunità Wahat al-Salam Neve Shalom è composta principalmente da musulmani laici, cristiani ed ebrei. All'Assemblea Generale del Villaggio abbiamo deciso con cognizione che il nostro impegno sarebbe stato il rispetto di tutte le religioni, incluse ma non limitate a quelle abramitiche, e che non ci sarebbero state propensioni per nessuna religione specifica. Questo è il motivo per cui non troverai alcun simbolo religioso nel PSCC.
La seconda decisione fu che la pratica religiosa sarebbe rimasta una questione privata. Le famiglie sono libere di praticare ciò che ritengono giusto per loro e la sfera pubblica è aperta a tutti. Tre volte all'anno noi come comunità celebriamo insieme le feste religiose più significative per ogni religione abramica - per esempio Ramadan, Natale e Sukkot. La scelta esatta per l'anno specifico potrebbe variare leggermente di anno in anno in base ai cambiamenti nelle date specifiche delle festività e alla decisione della comunità, ma l'idea è quella di condividere la gioia della celebrazione e i valori che sono centrali per ogni vacanza con l'intera comunità multiculturale.
Il Pluralistic Spiritual Center fornisce una struttura per la riflessione spirituale su questioni al centro del conflitto in Medio Oriente e la ricerca della sua risoluzione. Per anni il PSCC ha incoraggiato il dialogo interreligioso, i programmi di leadership della comunità e altre attività educative, culturali, politiche e sociali che promuovono la tolleranza, la diversità e il rispetto per tutte le religioni.
Il Pluralistic Spiritual Center consiste in due edifici e un giardino che gioca anche un importante ruolo nelle attività del centro. È collocato ai margini del Villaggio, distante dalla foresteria e dalle strade, delimitato da boschi, immerso nel verde e si affaccia su un magnifico panorama della Valle di Latrun.
La Casa del Silenzio (Beit haDoumia - Beit as-Sakinah) è una struttura circolare in cui ci si può sedere per osservare in silenzio o pregare in silenzio. Doumia (in ebraico) è nel versetto biblico: "A te, Signore, il silenzio [doumia] sarà coma una lode" (Salmo 2, 2). La fonte del nome sakinah (in arabo) è un versetto del Corano: "Egli… fa scendere la tranquillità [sakinah] nei cuori dei credenti perché aggiungano fede alla loro fede". (Corano, 48,4). Al suo interno non si svolgono cerimonie religiose o sociali o altri riti di gruppo.
Il Centro, edificato con due grandi sale con cortile centrale, è stato inaugurato nel Maggio del 2000. Il concetto del Centro è basato sulla fede nei valori di uguaglianza, giustizia e riconciliazione. Le sue attività traggono ispirazione dalle fonti spirituali e dal patrimonio di entrambi i popoli e da quelli di altri, e si focalizzano sulla discussione aperta interreligiosa o interculturale. L'edificio è destinato ad attività comunitarie in sintonia con lo spirito del luogo - celebrazione di festività laiche e religiose, presentazioni di libri, proiezioni di film, attività spirituali e culturali ed è un luogo di incontro per l'apprendimento, l'osservazione e la ricerca della pace dentro e tra noi.
Tra le iniziative del PSCC c'è il Giardino dei soccorritori (Giusti), fondato nel 2017 per onorare gruppi o individui, membri di qualunque nazione o religione, di qualunque minoranza o popolo del mondo, che hanno salvato uomini e donne in momenti duri del conflitto israelo-palestinese; rischiando la propria vita (e talvolta pagando con la propria vita) per salvare gli altri.
Diversi anni fa il villaggio ha aperto una galleria d'arte, che organizza mostre e programmi con la partecipazione di artisti Palestinesi e Israeliani.
In Europa si ricomincia a parlare di "muri". Il suo fondatore, padre Bruno Hussar, è definito il "costruttore di ponti", cosa può dire oggi a noi europei Wahat al-Salam Neve Shalom?
Le barriere nel corso della storia non sono servite e hanno solo cagionato danno. Gaza è dietro una recinzione e due milioni di persone sono sotto assedio da 15 anni. Questo ha aumentato la sicurezza di Israele? Ha portato la pace? I palestinesi apprezzano l'amore o rispettano gli ebrei? Assolutamente no.
Non c'è altra via che la convivenza fra arabi ed ebrei alla pari. Questa è la realtà oggi a Wahat al- Salam Neve Shalom. Un numero uguale di palestinesi ed ebrei che condividono questo luogo, hanno bisogno di vivere in una vera democrazia senza supremazia di razza, religione o nazionalità. Di tutte le parti del mondo, l'Europa è quella che può comprendere meglio perché ha visto crollare alla fine ogni muro costruito per separare razza da razza, e alla fine ha visto la vita sconfiggere la separazione. Quando anche i palestinesi e gli ebrei capiranno tutto questo, il nostro villaggio avrà un ruolo importante nell'insegnare al mondo come costruire una vita comune e una vera pace e come farlo bene.
Gli attentati di questi giorni e le provocazioni del governo di Israele con la chiusura della Spianata delle Moschee allontanano una risoluzione del conflitto?
Che posto occupa la fine delle ostilità nell'agenda politica di israeliani e palestinesi? Che barlumi vede?
Negli ultimi anni siamo sopravvissuti a diversi attacchi incendiari. Credo che gli attentati ci abbiano resi più forti. Ogni volta che siamo stati attaccati, siamo diventati sempre più potenti. La Scuola per Pace è stata bruciata e ora la stiamo ricostruendo. Abbiamo scoperto di non essere soli. Gli attacchi stanno rafforzando i nostri legami con altri che sono stati anch'essi attaccati. I perseguitati devono cooperare. E la risposta a tutto questo è realizzare sempre più progetti come quelli che stiamo realizzando nel villaggio e non c'è dubbio che abbiano successo. È vero che non abbiamo molto potere politico, ma dobbiamo continuare. E quello che sta accadendo ora nelle proteste contro la riforma giudiziaria, si protesta per problemi che solleviamo già da molto tempo. Non c'è altro modo che parlare.
Non possiamo essere ciechi di fronte a ciò che sta accadendo nell'esercito e nell'occupazione che è fortemente connesso al rafforzamento di una destra e del fascismo che si sta insinuando nell'area.
Oggi nel Villagio vivono più di cento famiglie ebree, musulmane e cristiane, tutti cittadini israeliani. Qual è il rapporto con i cittadini palestinesi dei territori occupati?
Oggi a Wahat al- Salam Neve Shalom vivono 300 persone, circa 100 famiglie, metà di loro ebrei e metà palestinesi, che vivono qui in pace da più di 42 anni.
Il 70% della seconda generazione sta tornando al Villaggio per crescere i propri bimbi qui e vediamo tutto questo come una prova di un grande successo.
I nostri contatti con i palestinesi sotto occupazione, attraverso i progetti della Scuola per la Pace e anche attraverso i progetti comunitari, sono molto forti. Noi operiamo in piena solidarietà con loro. Abbiamo attivisti a Khan al Ahmar e Masafer Yatta che stanno partecipando a iniziative di pacificazione, siamo con Sheikh Jarrah e i medici che si offrono volontari per lavorare a Gaza Physicians for Human Rights. Abbiamo contatti molto stretti con l'Autorità Nazionale Palestinese e i palestinesi dei territori occupati.
Abbiamo programmi oltre confine della Scuola per la Pace che negli anni sono diminuiti per via della politica dell'esercito israeliano che non consente ai palestinesi di entrare, perciò gli incontri tra palestinesi ed ebrei avvengono più spesso in Giordania o nell'Autorità e non nel Villaggio, come invece è stato per decenni. Stiamo agendo per cambiare questa situazione, ma intanto manteniamo molto forte e stretto il legame con tutti i professionisti e gli attivisti.
Il villaggio di Wahat al- Salam Neve Shalom ha istituito una Scuola per la Pace. Come funziona, a chi serve e a cosa serve?
La School for Peace (SFP) a Wahat al- Salam Neve Shalom è stata fondata nel 1979 come la prima istituzione educativa in Israele per la promozione di un cambiamento su larga scala verso la pace e relazioni più umane, egualitarie e giuste tra palestinesi ed ebrei.
La Scuola per la Pace lavora con gruppi organizzati di ebrei e palestinesi, donne e giovani, per creare un autentico dialogo egualitario tra i due popoli. Attraverso workshop, programmi di diffusione culturale e progetti speciali, la SFP alimenta nei partecipanti la consapevolezza del conflitto e del loro ruolo in esso, consentendo loro di assumersi la responsabilità del cambiamento delle odierne relazioni tra ebrei e palestinesi.
La maggior parte dei programmi di SFP si basano sul rispetto del principio "People to People", da persona a persona. Della connessione a prima vista, e anche del dialogo sul conflitto e su come stia influenzando tutti gli aspetti della nostra vita qui. Le sessioni sono condotte da una coppia bi-nazionale di facilitatori che lavorano insieme e comprendono sessioni uni-nazionali e bi-nazionali. Inoltre, non crediamo nelle esperienze spot, ecco perché tutti i nostri progetti sono a lungo termine. Lavoriamo sull'educazione degli agenti di cambiamento e questo è un processo lungo.
In tanti anni di attività contiamo circa 60.000 studenti. Molti di loro sono attivisti di organizzazioni pacifiste e professionisti negli ambiti della medicina, il diritto, l’urbanistica, l’istruzione, i media e sono leader sociali e politici.
Nei nostri incontri con gli ex studenti verifichiamo come il processo che stanno attraversando in SFP li stia impegnando nel processo di costruzione della pace, specialmente negli ambiti professionali nelle loro comunità locali, non necessariamente nei circoli più alti e più politicizzati.
Puoi leggere di più sul sito SFP https://sfpeace.org.
Molti alunni della Scuola per la Pace sono alla guida di diverse istituzioni in prima linea per i diritti umani: Wahat al- Salam Neve Shalom svolge un ruolo nell'educazione alla pace, offrendo l'esempio di una società alternativa basata sulla condivisione e sull'uguaglianza tra cittadini Ebrei e Palestinesi, ci dica qual è la chiave per la gestione dei conflitti e per educare a una società pacifica?
La chiave è l’educazione, educazione e ancora educazione.
Stiamo educando i nostri figli all’idea che sono uguali a vivere essendo l’uno per l’altro. Nessuna violenza. Nessuna condiscendenza con essa. Questa è il filo conduttore. E quando tutti sono uguali, quando c’è uguaglianza, tutto va per il meglio.
Insegniamo loro anche che nulla si ottiene senza lavorare duramente. La democrazia, una vita felice, il successo negli studi: richiedono tanto duro lavoro per il loro raggiungimento.
L'altra chiave è la comunicazione. La lingua. Ecco perché ci stiamo impegnando molto nell'insegnamento bilingue, binazionale e multiculturale perché quando parlo la lingua dell’altro, la comunicazione è la promessa di una vita normale, serena. La sana comunicazione è la migliore medicina per la paura e per la paura dell'altro.
Ultima domanda. Lo studioso Israeliano dell'Olocausto Yair Auron ha creato un Giardino a Wahat al- Salam Neve Shalom. Non più solo il ricordo dei "giusti" che hanno salvato gli Ebrei durante l'Olocausto, ma anche l'apprezzamento di palestinesi e israeliani che, durante le varie fasi del conflitto in Medio Oriente, hanno compiuto atti di umanità nei confronti del "nemico". Per la prima volta in Israele l'idea dei Giusti non è più solo una questione Ebraica, ma è diventata anche una questione palestinese. Una speranza di unire e riconciliare due popoli che combattono sulla stessa terra. Le chiediamo: come finirà il conflitto e cosa serve per far sbocciare la pace?
Per far fiorire la pace dobbiamo iniziare il processo dal basso verso l'alto, parallelamente a quelli che partono dall’alto verso il basso. Abbiamo bisogno di programmi di dialogo che partano dal basso, come quello che stiamo facendo nel villaggio. Abbiamo bisogno di progetti interreligiosi e interculturali per educatori, artisti e leader religiosi. Tutti coloro che sono socialmente attivi dovrebbero partecipare a questi incontri dedicati all’idea di società condivisa, alla democrazia e alla convivenza. Abbiamo bisogno di coltivare, nutrire e rafforzare questi valori che partono dal basso verso l'alto.
Dei processi che invece vanno dall'alto verso il basso se ne occupa la politica che metterà la pace nella propria agenda, per promuoverla attivamente questa pace. Allo stato attuale, invece, ci sono movimenti politici che promuovono la colonizzazione, il controllo e l'apartheid e sono quelli al comando, abbiamo bisogno di un movimento politico che sia promotore di pace.
Chi ha calpestato le polverose strade della Palestina, ha visto con i propri occhi il muro di separazione di Betlemme, i tanti ceck point sparsi lungo la zona C, passeggiato sotto la rete metallica di Hebron, colto le cotraddizioni del complesso mondo arabo fatto di musulmani e cattolici, coglie nel Villaggio e nelle tante realtà di Israeliani contrari all'occupazione un segno profetico di speranza: la riconciliazione, la composizione del conflitto è sempre possibile. La Pace verrà.
Grazie Samah
BREVE BIOGRAFIA
Direttrice dell'Ufficio Comunicazione del Villaggio, classe 1975 è originaria del nord di Israele, figlia di rifugiati e la maggior parte della sua famiglia vive in campi profughi sparsi in diversi Paesi del mondo. Sogna il giorno in cui tra israeliani e palestinesi ci sarà la pace, “alcuni membri della mia famiglia torneranno, e potremo costruire una casa”.
Assistente sociale, ha una specializzazione in studi di genere conseguita presso la Hebrew University di Gerusalemme. È ricercatrice e attivista sui temi dell’educazione di genere nella società palestinese, nell’imprenditoria sociale e nelle relazioni tra maggioranza e minoranza. Collabora con alcune testate nazionali tra cui Haaretz.
Nel 2009, dopo aver conosciuto di persona, per lavoro, la drammatica condizione di discriminazione vissuta da molte donne arabe in Israele (in particolare nelle città a popolazione mista arabo-ebraica), ha fondato l’associazione Naa’m – Arab Women in the Center che si batte contro la violenza domestica e i cosiddetti “delitti d’onore”, la discriminazione delle donne nell’ambito del mercato del lavoro, il diffuso atteggiamento patriarcale e i matrimoni precoci.
Abita dal 2000, con la famiglia, nel Villaggio.
Nel 2015 per il suo impegno contro la violenza sulle donne e a favore della parità di genere ha vinto un importante premio per i diritti umani, il New Israel Fund Human Rights Award.
Nel 2020 è stata inserita nella lista di Forbes fra le donne più influenti di Israele.