INTERVISTA A GABRIELE NISSIM

ISMED-Mediazione / ADRMEDLAB - Interviste di Francesca Chirico
Abbiamo chiesto a Gabriele Nissim, presidente dell'associazione Gariwo, di raccontarci chi sono i Giusti e quali sono i percorsi di conciliazione possibili fra il popolo israeliano e il popolo palestinese.
Più che un'intervista, ne è venuta fuori una lunga chiacchierata in cui il presidente Nissim ha spaziato dalla politica alla filosofia, dalla morale alla cronaca di questi giorni.
Ci ha consegnato il cpmpito di lavorare per la conciliaizone raccontando le storie di bene che caratterizzano da sempre i Giusti della storia ed esortandoci a ricercare il bene possibile che silenziosamente cambia il mondo.

"Dobbiamo darci da fare per promuovere tutte le persone di pace e di dialogo e per renderle riconoscibili. È il tema dei giusti nascosti che esistono nei due campi"

Mi sento molto legata a quel concetto di bene possibile da costruire nelle contingenze storiche, con quella bontà insensata di cui lei parla e che ci porta a pensare che non debba esserci un motivo specifico per essere giusti.
Per cui le chiedo subito: Chi sono i giusti?

Dopo la Seconda Guerra Mondiale sono nate tre parole nuove che non esistevano.
La prima è la parola genocidio che è stata inventata da Raphael Lemkin che dopo esser stato testimone diretto della Shoah trovandosi in Polonia e per avere assistito, precedentemente, al genocidio armeno, si rese conto che non esisteva una parola che definisse uno sterminio inteso come un'operazione che mira all'eliminazione degli esseri umani. Churchill, per esempio, parlava di un crimine senza nome e a livello internazionale non erano sanciti i crimini contro l'umanità che colpivano una nazione che poteva anche essere "eliminata".
Allora Lemkin inventò la parola genocidio che è un ibrido tra il greco genos e il latino cidio e fece una battaglia perchè la comunità internazionale approvasse la Convenzione per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio.
Lemkin è stato capace di inventare una nuova parola nel vocabolario politico.
Pensiamo alla storia di Antigone, mossa dall'idea che un essere umano dovesse preservare comunque l'umanità, indipendentemente dalla politica degli stati; quindi, umanità significava potere seppellire suo fratello. Lemkin, invece, disse che l'umanità non doveva essere preservata solo dagli individui, ma da un ordinamento internazionale che prevenisse il male, un ordine superiore a cui una persona si poteva rivolgere quando accadevano dei crimini contro l'umanità.
Fra l'altro Lemkin aveva letto Quo vadis e questo era stato l'elemento di partenza del suo impegno. Lui diceva che al tempo della persecuzione dei cristiani a Roma non c'era nessun "poliziotto buono" che potesse aiutare un cristiano, e allora questo "poliziotto buono” bisognava crearlo, perché quando accade un crimine contro l'umanità qualcuno potesse andare in soccorso. Lui pensava ad un'autorità sovranazionale che dovesse prendere parte e aiutare chi soffre, questa è stata la sua grande intuizione.
La parola giusto è la seconda parola che entra nel vocabolario da un punto di vista politico e indica colui che si oppone al genocidio.
Quando in Israele viene creato il Giardino dei Giusti e si dice che bisogna ricordare gli uomini che hanno salvato e sono andati in soccorso degli ebrei, si parla di una categoria nuova: gli uomini che si sono assunti la responsabilità nei confronti di un genocidio.
Allora se noi vediamo bene, i due concetti genocidio e giusti sono legati perchè, se il genocidio descrive una forma di sterminio, il giusto è l'essere umano che interviene per prevenire o per aiutare delle persone che sono condannate in un genocidio.
Il terzo è un concetto, quello del Giardino dei Giusti che significa che l'umanità deve ricordare non soltanto le vittime, ma soprattutto le persone che in ogni tempo hanno compiuto degli atti di umanità.
Quindi, il Giardino dei Giusti è il luogo che dovrebbe ricordare queste persone.
È molto importante però analizzare questa categoria di “giusto” perchè c'è un elemento di carattere politico: la persona giusta è quella che si ribella, che prende posizione nei confronti del genocidio.
Ma è qualcosa di più, il concetto di giusto pone la questione che ogni essere umano indipendentemente dalla posizione che occupa, dal luogo in cui si trova, indipendentemente se sia un grande capo di stato o un artigiano o persino un malfattore, un faccendiere com'era Oskar Schindler, qualsiasi essere umano ha sempre la possibilità di decidere il proprio destino.
Questo concetto è molto importante, perchè i genocidi e i crimini contro l'umanità avvengono sempre per scelta dell'essere umano. Non sono un fatto sovrannaturale, non sono un tsunami, non nascono da un male insito nella storia, i genocidi e i crimini contro l'umanità nascono sempre dalle scelte degli uomini.
Sono gli uomini che decidono di uccidere, di sterminare. Allora, se è così sono sempre gli stessi uomini che possono opporsi in ogni situazione ai crimini contro l'umanità.
Voi avete presente il concetto di indifferenza, c'è questa famosa frase scritta a caratteri cubitali al memorale della Shoah.
Perchè i genocidi, i crimini contro l'umanità nascono perché ci sono dei carnefici, ma anche perchè ci sono delle persone indifferenti che voltano la testa dall'altra parte.
Chi sono i giusti, i giusti sono invece le persone che non voltano la testa dall'altra parte. Sono le persone che si assumono una responsabilità. E se vediamo la letteratura, La Boétie, amico di Montaigne scrisse che i despoti possono agire dove trovano il consenso, perchè nella misura in cui si toglie il consenso, la forza dei dittatori finisce. La Boétie parlava di servitù volontaria. Il male esiste perchè le persone dicono di sì e si adeguano alla situazione. Se una persona inizia a dire di no, cade il potere di un autocrate.
Credo che questo sia un concetto legato alla questione dei giusti, perchè i giusti sono sempre degli individui che si assumono una responsabilità.
Quando c'è qualcuno che accende la miccia del bene o che è capace di andare contro a delle leggi ingiuste si può creare un movimento collettivo che mette in discussione una dittatura.
I giusti, per intenderci, non sono solo persone che hanno salvato delle vite o che hanno agito per il bene dell'umanità, sono le stesse persone che possono mettere in moto la società.
Quando Václav Havel usava l'espressione il potere dei senza potere, intendeva dire che ognuno di noi non ha il potere su tutto, ma ha il potere su se stesso.
Se metti in moto il potere su te stesso, allora potrai anche scalfire un potere ingiusto perchè si crea quello che Leopardi definiva la catena della ginestra, una rete collettiva che può mettere in discussione un potere ingiusto.
Esiste un rapporto tra l'azione di un giusto e un meccanismo che può portare a rompere il muro dell'indifferenza. Il giusto non agisce solo individualmente è quello che crea le condizioni per un meccanismo collettivo.
È importante ragionare su chi sono i giusti.
Si può definire un giusto come un essere umano e non come un santo o un eroe. A volte c'è l'idea che una persona per fare un gesto di umanità dovrebbe essere una persona votata alla rinuncia di sè. Questo è un concetto un po' vittimistico.
Noi dobbiamo pensare, invece, che la persona giusta è un essere umano con tutti i difetti e con tutte le contraddizioni degli esseri umani e che agisce non per rinunciare a sè ma perché, quasi, sente un senso estetico e non può sopportare il male intorno a sè.
Il concetto di giusto è legato sempre al concetto di bellezza. Come una persona ama il bello, così non può sopportare che ci sia un mondo inquinato. Una persona che agisce lo fa sempre a partire da un fatto, quasi direi, “estetico”; perché non può sopportare il male e si ribella al male a partire da sè e non da una rinuncia di sè.
Lo si fa per stare meglio con sè stessi, non per stare peggio. Anche se poi ai giusti ne capitano di tutti i colori, perchè chi si ribella contro leggi ingiuste viene perseguitato da altri esseri umani… ma il punto di partenza è sempre un elemento personale per stare meglio con sè stessi.
Non dobbiamo considerare i giusti come eroi, come dei perfetti.
Io ho raccontato nei miei libri alcune di queste storie evidenziando l'umanità del giusto ma nello stesso tempo anche i suoi difetti.
Pesce, che salvò gli ebrei in Bulgaria, aveva appoggiato le leggi razziali, poi scosso da un amico ha preso coscienza e ha cambiato idea.
Armin Wegner, che denunciò il genocidio degli armeni e che poi prese posizione contro Hitler, quando fu torturato in carcere dopo avere scritto una lettera di condanna ad Hitler a seguito delle leggi razziali, abiurò per non morire e scrisse una seconda lettera in cui diceva che era pronto a lavorare per il Terzo Reich.
La sua vita non fu facile, dovette emigrare dalla Germania, ma abiurò per salvare la sua vita, anche se si era battuto per salvare la vita degli armeni e poi degli ebrei.
Noi dobbiamo raccontare le storie dei giusti come storie umane non come storie di eccellenza.
Moshe Bejski, artefice del Giardino dei Giusti a Gerusalemme, mi diceva che, se noi proponiamo alle persone di essere eroi nessuno sarà giusto.
Noi dobbiamo proporre agli esseri umani di fare il bene possibile.
Vorrei aggiungere un concetto che dovrebbe essere maggiormente elaborato: noi immaginiamo il giusto come colui che agisce nelle situazioni d'emergenza. È vero, esistono queste persone ed è compito nostro raccontarle, però noi dobbiamo pensare che la figura più importante del giusto è quella che previene il male.
Quando il male si è compiuto, noi parliamo delle macerie. Fare memoria delle macerie non è spesso gratificante. Invece l'dea del giusto che noi vediamo raccontata nel Talmud e nella Bibbia e che ha tanti risvolti nella filosofia, per certi versi nel mondo classico, è quella della persona giusta che tiene le redini del mondo. Tanto è vero che si parla di giusti nascosti, cioè persone che tengono le fondamenta del mondo.
Chi sono queste persone? Sono le persone che con il loro comportamento cercano di prevenire il male, capaci di mantenere l'umanità.
Questo da un punto di vista etico e filosofico, ma traduciamolo dal punto di vista un po' più politico nel nostro tempo. Le persone giuste sono quelle che intervengono prima che il male si compia. Perchè il male si compie attraverso tante tappe come suggeriva la filosofa Ágnes Heller che parlava di stazioni del male.
Il male parte da parole malvagie, parte dal disprezzo dell'altro, poi arriva a un'identificazione negativa delle minoranze, arriva attraverso forme politiche di discriminazione più o meno esplicite e può arrivare alla fine ai crimini contro l'umanità, fino allo sterminio.
Allora, quello che è importante è valorizzare tutte le persone che sono capaci di arrestare il male nella sua genesi. Ecco, questo concetto dovrebbe essere maggiormente elaborato.
Molto spesso, quando si celebrano le giornate della Memoria si racconta il male quando è finito, io sono più dell'idea che si debbano raccontare le tappe del male e contestualizzarlo nel nostro tempo.
Il campo di concentramento è il punto finale. Al campo di concentramento si arriva passo dopo passo: questi passi che portano al male devono essere evidenziati e devono essere compresi.
Il discorso sui giusti è un discorso che ci deve fare riflettere sulla possibilità di prevenzione prima che il male accada.
Questa è stata l'intuizione di Raphael Lemkin. Quando immaginò la Convenzione per la prevenzione dei genocidi e parlò di questo nuovo comandamento morale "Non commettere genocidio", aveva in mente di darsi degli strumenti per prevenire il male.
Lui è passato alla storia come colui che ha permesso l'istituzione dei Tribunali per i crimini contro l'umanità e nel suo pensiero aveva parlato della punizione dei colpevoli, però diceva anche che a chi stava in Polonia nel ghetto di Varsavia, ad esempio, non interessava pensare al processo dei carnefici, interessava di essere salvati.
Noi pensiamo che l'aspetto principale sia la punizione del colpevole; invece, l’aspetto principale è la prevenzione del male, non la mera punizione del colpevole, anche quando è giusta.
Questo suo pensiero si lega in modo molto chiaro al concetto dei giusti ed è molto importante e venne poi ripreso nei processi di Norimberga e dalla giurisdizione internazionale: una persona che ubbidisce alle leggi ingiuste di uno Stato è colpevole. Anche se le leggi di uno stato totalitario ti dicono che devi colpire le minoranze, punire i nemici; Eichmann i gerarchi dissero a Norimberga "Noi abbiamo solo ubbidito a degli ordini".
Lemkin si era posto questo problema del male fatto per legge e aveva concluso che davanti a delle leggi ingiuste bisogna disubbidire perchè esiste una legge dell'umanità molto più importante.
Dunque, chi è quello che disubbidisce a queste leggi e non diventa Eichmann? È il giusto.

Sarebbero moltissimi i passaggi da commentare: dallo scandagliare le tappe del mare all'accendere quella miccia del bene.
Lei è stato promotore dell'istituzione della Giornata europea dei Giusti e ha dichiarato che recependola, anche l’Italia si è assunta l’impegno di intraprendere una nuova narrazione del conflitto, una sorta di diplomazia del bene.
In questi giorni abbiamo assistito al risveglio di un male che sembrava sopito e che, invece, ha aperto uno squarcio sulla nostra sonnolenta indifferenza. La questione di Israele e della Palestina l'avevamo un po' accantonata complici "i riflettori" - mi passi il termine - che si erano accesi sul conflitto ucraino, come se ci fosse un conflitto più cogente e attuale che ci fa dimenticare tutte quelle altre tappe del male che si sviluppano nelle altre parti del mondo.
Le immagini dell'attacco di Hamas, ma anche dell'assedio di Gaza e dei bombardamenti ci richiamano alla responsabilità della memoria.
Perchè è vero che c'è un bene insensato, ma c'è anche un'insensatezza del male, l'olocausto ne è l'icona per eccellenza. Ogni 27 gennaio ricordiamo gli orrori compiuti dai nazifascisti, e guai a non farlo. A me colpisce molto che la vostra associazione racconti anche di una Memoria del Bene come strumento educativo e di prevenzione dei crimini contro l'umanità.
Allora le chiedo innanzi tutto quanto la conoscenza e l'educazione possano portare ad una pacificazione e poi vorrei aprire un focus su quello che sta succedendo in Palestina.

Le domande sono tante, partirei dalla prima.
Quando abbiamo promosso la Giornata dei Giusti e i Giaridni dei Giusti, abbiamo preso come riferimento sia Raphael Lemkin l'ideatore per la Convenzione sulla prevenzione dei genocidi, sia Moshe Bejski che è stato l'artefice del Giardino dei Giusti di Gerusalemme e abbiamo voluto che questa idea di giardino diventasse universale, che non ricordasse solo i giusti che hanno salvato gli ebrei, ma i giusti che hanno salvato tutti gli esseri del mondo in qualsiasi contesto.
La nostra idea è quella che i Giardini dei Giusti diventassero per la società uno strumento culturale per la prevenzione dei genocidi, perchè le Convenzioni, sia quella delle Nazioni Unite sia quella di Lemkin non "vivono" nella società, sono dei riferimenti che però non impegnano gli individui.
Allora abbiamo pensato che i Giardini dovessero diventare uno strumento culturale per far vivere queste Dichiarazioni e, soprattutto, dovessero essere uno strumento per educare la società in modo tale che venisse a conoscenza di tutti i crimini contro l'umanità (perchè non esiste un crimine unico, ne esistono tanti) e che un cittadino, attraverso questi Giardini, diventasse cittadino del mondo e non cittadino di un solo paese.
Il Giardino dei Giusti, il cui nome completo è il Giardino dei Giusti di tutto il mondo, promuove proprio la responsabilità rispetto al mondo non solo la responsabilità rispetto alla condizione particolare di un individuo.
In secondo luogo, il Giardino dei Giusti pone questo concetto: noi siamo abituati a pensare che i conflitti si risolvano attraverso la diplomazia degli stati e il ruolo delle istituzioni - il che ovviamente è vero - ma sappiamo benissimo che qualsiasi istituzione, anche la migliore finisce per avere alcuni "tic", perchè qualsiasi Paese fa dei compromessi nei suoi rapporti. I Giardini possono essere uno strumento per affermare i diritti umani a partire dalla società, a partire dagli individui.
Ad esempio, se l'Italia ha dei rapporti con l'Egitto che ostacolano il chiarimento della vicenda su Regeni, i Giardini non rispondono alla diplomazia degli Stati, ma rispondono alla diplomazia delle coscienze per cui ricorderanno sempre la storia di Regeni.
Noi dobbiamo essere realisti e sapere che la traduzione in politica dei diritti umani non ci sarà mai come noi immagineremmo. Quindi, è molto importante il ruolo dell'attivizzazione delle coscienze perchè, quando poi le coscienze si mettono in moto si creano dei miracoli. Non è quantificabile l'azione di un individuo oppure di tanti individui perchè non risponde alle leggi della politica. Questa azione è quella di una società che si mette in moto e crea delle situazioni totalmente inaspettate, capaci di cambiare anche la politica, creare delle simpatie, dare forza ad oppositori ai regimi nei paesi in cui si violano i diritti umani (penso alla mobilitazione in favore delle donne iraniane). Così, si creano forme di solidarietà sovranazionali che hanno degli effetti, perchè la cosa peggiore per chi combatte per i diritti umani è trovarsi isolato; invece, se si creano delle solidarietà che nascono da società a società si creano dei meccanismi importanti.
I Giardini dei Giusti hanno questo ruolo di attivizzazione delle coscienze e permettono di fare azioni inaspettate.
Nel Giardino di Milano abbiamo fatto incontrare russi e ucraini per i quali il conflitto ha creato dei muri. Adesso immaginiamo di avere un ruolo per fare incontrare le persone che vogliono la Pace in Medio Oriente.

La questione israelo-palestinese
In questo conflitto si rischia di cadere nella trappola della creazione di due grandi partiti: il partito che ricorda i diritti degli israeliani e il partito che ricorda i diritti dei palestinesi e questi due partiti cozzano.
Io credo, invece, che nostro compito dovrebbe essere quello di mettere assieme le persone che lavorano per il dialogo e la conciliazione.
Io faccio sempre riferimento ad Amos Oz, il grande scrittore israeliano che ha scritto libri sul fanatismo che inviterei a leggere oggi, che diceva che in Medio Oriente tragicamente si scontrano due desideri di giustizia, due popoli per la stessa terra; quindi, si scontrano due diritti che portano a questa situazione tragica. Se noi partiamo dal presupposto che esiste il diritto degli israeliani di vivere in pace e sicurezza, come il diritto dei palestinesi di vivere in pace e sicurezza, quale dovrebbe essere il nostro compito? Il nostro compito dovrebbe essere quello di lavorare per la conciliazione.
Io vedo molto negativamente quando si formano i cortei contrapposti. Sognerei cortei in cui si mettono assieme israeliani e palestinesi, ebrei e musulmani che lavorano per la conciliazione.
Questo conflitto ha tanti elementi di tragicità. Ci sono tante voci del mondo ebraico, nel mondo israeliano che mostrano la compassione, scrivono sui giornali per i diritti dei palestinesi e invece, purtroppo, nel mondo arabo palestinese non ci sono persone che, quando rivendicano i propri diritti rivendicano quelli degli altri. Questo è un elemento su cui cerchiamo di lavorare come Gariwo, perchè cerchiamo di scoprire, anche sul nostro sito, chi all'interno dei due campi ha una posizione coraggiosa.
Noi possiamo fare un discorso storico di analisi e raccontare tutti gli errori di uno e gli errori dell'altro, ma non si finisce mai.
Secondo me bisogna partire da un altro punto: israeliani e palestinesi saranno costretti un giorno a vivere assieme.
Io non credo, almeno come sostiene Yehuda Bauer grande studioso della Shoah - che nessuno riuscirà a "cacciare" l'altro, tutti e due i popoli saranno costretti a vivere assieme; quindi, la nostra attenzione deve essere focalizzata per trovare il dialogo e la pace, come lavora Nevè Shalom e tante altre associazioni.
La passione non dovrebbe essere quella di prendere parte, ma quella di lavorare per la conciliazione. Partiamo da un discorso filosofico che ci ha ricordato lo scrittore Harari, noi siamo terzi e in questo momento non possiamo immaginare che ci possa essere compassione degli abitanti di Gaza verso gli israeliani e degli israeliani verso gli abitanti della Striscia, dopo quello che è successo con Hamas. Dice Harari, voi che siete fuori, che non ricevete le bombe, che non siete stati stuprati, non siete stati violentati, non avete visto le scene nei kibbutz, che domani mattina quando vi alzate dal letto non avete le bombe e non sapete dove andrete, avete il privilegio di essere terzi e questo privilegio vi consente di agire in modo più umano. Io mi ricordo uno degli elementi delle filosofia stoica che può sembrare paradossale, Epiteto e Marco Aurelio dicevano "Sii indifferente alle cose indifferenti e preserva la tua anima morale".
Cosa vuol dire? Tu devi essere indifferente alle cose che non dipendono da te (e in effetti la guerra in Medio Oriente non dipende da noi, sono altri gli attori), quindi se fai finta di essere un attore sbagli, se pensi di diventare un palestinese o un israeliano, commetti un grandissimo errore perchè non sei uno di loro.
Invece dicevano Marco Aurelio e Epiteto, il problema è preservare il proprio carattere morale che vuole dire essere capaci di raccontare la verità e di non farsi prendere da letture sbagliate. Bisogna raccontare quello che è.
Se uno racconta il genocidio che ha fatto Hamas, deve raccontare la politica di Hamas che vuole la distruzione di Israele, bisogna raccontare il ruolo dell'Iran, bisogna raccontare che quello che è accaduto è accaduto per una volontà di annientamento; nello stesso tempo noi raccontiamo quello che succede a Gaza, quello che succede nei Territori, quindi dobbiamo raccontare la verità non dobbiamo coprire un male con un altro male: questo è un atteggiamento morale.
Il secondo punto dell'atteggiamento morale è quello di promuovere il bene. Noi che non siamo coinvolti dobbiamo darci da fare per promuovere tutte le persone di pace e di dialogo e per renderle riconoscibili. La narrazione deve essere non la narrazione dei combattenti, ma la narrazione delle persone che in questo conflitto continuano comunque a promuovere il bene e il dialogo…noi non le conosciamo neanche. È il tema dei giusti nascosti, non siamo andati a trovarli. Noi dobbiamo andare a trovare i giusti nascosti che esistono nei due campi.
E questo dovrebbe essere il lavoro, che non è quello semplicemente di fare il conto delle responsabilità, non finiremmo più; anche perchè non esisterà mai nella storia la giustizia assoluta. Non esiste mai la giustizia che torna al punto di partenza - è una grande illusione - la giustizia nasce sempre da dei compromessi, noi dobbiamo darci da fare perchè questi compromessi siano possibili.
Io vedo oggi la necessità di sconfiggere la paura. Oggi, per esempio, nel mondo ebraico c'è molta paura. Vediamo quello che è successo nel Daghestan. C'è molta paura anche in Israele. Il tema è come lotti contro questa paura, perchè la paura può portare a chiuderti in te stesso, a pensare che nessuno verrà in tuo soccorso. Invece lavorare contro la paura significa considerare che le proprie fragilità si superano attraverso la condivisione.
Io credo che un domani solo la creazione di due entità, una israeliana e una palestinese, permetterà di superare le fragilità reciproche.
Il paradosso è che per vivere domani in sicurezza ad Israele non basta la forza militare, ci vuole il riconoscimento e una condivisione con i palestinesi.
E i palestinesi potranno ottenere successo per uno stato palestinese nella misura in cui conquisteranno gli israeliani da un punto di vista etico.
Quindi è su questo piano che noi dobbiamo lavorare per la pace in Medio Oriente, non facendo il tifo, il tifo non porta a nulla. La cosa più pericolosa è che non ho visto nessuna manifestazione per il dialogo promossa da nessuna parte e questo è invece il tema che dovremo sviluppare.

Ci sono alcuni esempi come la manifestazione di Firenze e quell'abbraccio fra l'imam, l'abate e il rabbino, ci ha restituito un po' di speranza. Ma c'è una grande complessità non solo nella questione palestinese, ma anche nel mondo arabo. Gli arabi non sono tutti islamici.
Per chi ha visitato la Cisgiordania in quel racconto della verità che lei dice i muri, i checkpoint, i divieti sono un pugno allo stomaco e forse il "tifo" è anche dovuto dal fatto che i media, soprattutto occidentali dicono poco dei territori occupati e questo forse esaspera anche le posizioni, perchè magari chi c'è stato, chi ha visto, sente di pancia di dovere raccontare una certa politica di Israele.
Quella politica di Netanyahu contro la quale molti israeliani sono scesi in piazza.
Quindi è una situazione talmente complessa che semplificare nella polarizzazione rende difficile la ricerca di una soluzione.
Amos Oz, che lei prima ha citato, diceva che l'essenza del fanatismo è forse ne desiderio di costringere l'altro a cambiare. Io devo educare il mio coniuge, mio figlio, mio fratello, piuttosto che lasciarlo vivere.
Il contributo della sua associazione, lei citava Nevè Shalom con cui noi siamo in contatto, va valorizzato ed è la chiave di volta.
Samah Salaime in un’ultima intervista ci ha detto l'Europa è quella che può comprendere meglio perché ha visto crollare alla fine ogni muro costruito per separare razza da razza, e alla fine ha visto la vita sconfiggere la separazione.
Il mondo è attraversato da tantissimi conflitti ed è molto importante vederli tutti. C'è un po' questa cosa che un conflitto sembra coprire l'altro, ma io voglio ricordare che in questo momento continua la guerra fra Russia e Ucraina, non dimentichiamo che Putin ha dichiarato che l'Ucraina non esiste, che è un paese di nazisti e che questa guerra è nata da chi ha sostenuto che bisognava tornare ai confini dello Stato Sovietico, che le Repubbliche Baltiche fanno parte della Russia che parte della Polonia è stata regalata dalla Russia alla Polonia, insomma vengono messi in discussione i confini dell'Europa, e non dimentichiamoci che la Russia ha soffiato sul fuoco su questo conflitto con l'alleanza con l'Iran e il sostegno indiretto ad Hamas, esiste un legame tra questo conflitto e quello che sta succedendo oggi.
E non dimentichiamo cosa è successo in Karabakh, centomila persone sono state espulse dal Karabakh con un intervento fatto dagli Azeri con i Russi che dovevano essere mediatori e invece hanno lasciato fare.
Noi dobbiamo prevedere queste minacce alla democrazia che ci sono nel mondo, alla nascita di queste autocrazie, persino alle minacce alla democrazia negli Stati Uniti con Trump, noi dobbiamo inquadrare il conflitto in questo contesto internazionale. Gli attori si sono mossi in un certo modo a partire da un contesto, anche se poi gli attori possono essere indipendenti.
Pensando a quello che succede in Medio Oriente noi stessi dobbiamo avere un'idea di mondo. Pensiamo al ruolo dell'Iran nella repressione delle donne: questa situazione viene usata per compattare una società che si era mobilitata per l'affermazione dei diritti umani. Pensiamo a Erdogan che ha fatto fuori tutte le opposizioni e i giornalisti e poi va nelle piazze per parlare dell'appoggio ad Hamas.
Io invito a guardare il conflitto guardando il mondo, altrimenti commetteremmo degli errori.
E, infine, anche se può sembrare assurdo dobbiamo lavorare sulla speranza.
C'è un punto che mi ha molto colpito e noi di Gariwo ce ne siamo molto occupati. Per più di trenta settimane in Israele c'era un movimento enorme di centinaia di migliaia di persone che erano nelle piazze per mettere in discussione il Governo di Netanyahu e la sua riforma sulla giustizia per preservare l'idea che ci dovesse essere uno Stato che sancisse un diritto che include anche i diritti delle minoranze. Le piazze avevano messo in discussione la visione del Governo di uno stato ebraico inteso non come stato israeliano. Nelle piazze si dice che Israele è lo Stato di tutti gli israeliani: drusi, cattolici, arabi israeliani.
La più grande tragedia è che nel momento in cui c'era questo grande movimento c'è stato il colpo di Hamas.
Quegli israeliani si sono trovati a passare da questa grande battaglia per il cambiamento di Israele a dover quasi affrontare questa lotta per la sopravvivenza.
Quello che è successo ha creato in queste persone una paura terribile, non ancora razionalizzata del tutto.
Noi dobbiamo ripartire da queste manifestazioni, perchè tutte le voci che sono state in quelle piazze si faranno risentire (in queste ore c’è la questione degli ostaggi; le famiglie chiedono la liberazione dei prigionieri palestinese, è una contraddizione che c'è in Israele).
Noi dobbiamo far conoscere quello che fa Nevè Shalom. Gariwo ha fatto nascere il Giardino dei Giusti a Nevè Shalom.
La grande idea di questo giardino è che ci sono alberi che ricordano gli israeliani e i palestinesi che hanno aiutato durante le guerre.
Io amo la storia, ma in questo momento a me non interessa perdere tempo nel fare analisi, mi interessa invece perdere tempo per ricercare le persone giuste dei due campi.
Noi nel sito di Gariwo cerchiamo di raccontare queste storie e dovrebbe essere questo l'impegno generale: mettere in luce tutte queste storie di bene e cercare di creare una connessione.
Questo conflitto non deve lacerare il nostro Paese, la cosa peggiore è se si creassero, nel nostro Paese, lacerazioni fra il mondo ebraico e il mondo musulmano. Sarebbe un danno.
In Francia questo scontro fra minoranze c'è. C'è la più grande comunità ebraica e la più grande comunità musulmana. Noi dobbiamo lavorare per evitare queste lacerazioni che a me preoccupano molto perchè ognuno “parte dalla sua parte”.
Per tornare al discorso dei Giusti, chi sono i Giusti?
I Giusti sono quelli che riescono ad andare oltre la loro appartenenza, persone che appartengono a una nazione ma si sentono anche parte dell'altra nazione.
Infondo il giusto è una persona capace di essere due persone nello stesso tempo: la persona - come in questo caso - israeliana che si sente anche palestinese e viceversa.
Prendiamo la parabola del Buon Samaritano, è una persona che vedendo per la strada il dolore altrui si ferma e ne prende parte quando avrebbe potuto benissimo andare oltre.
Oggi bisogna pensare che uno deve sentirsi appartenente all'umanità, non appartenente solo a una parte.
Se tu ti senti parte dell'umanità allora sai vedere l'altro in modo diverso. Questo è un percorso molto difficile in un momento di guerra, però è l'unica soluzione.

La ringrazio, mi viene da dire che se noi lasciassimo fare alle realtà che in questo momento in Israele e in Palestina lavorano per la pace - e sono tantissime - l'associazione Rabbini per i Diritti umani, Peace Now, Parents circle (l'associazione di genitori israeliani e palestinesi che hanno perso i propri figli durante il conflitto e ci dicono, piangiamo il sangue di questi figli versato sulla stessa terra, piangiamo figli seppelliti sotto la stessa terra), la Piccola Comunità dell'Annunziata a Ain Arik, il Charitas Baby Hospital a Betlemme, Daoud Nassar che vive senza odiare nella sua Tenda delle Nazioni e gli amici di Nevè Shalom, se lasciassimo fare a quell'umanità palestinese e israeliana, saremmo ad un punto ben diverso di quello a cui la politica e gli equilibri internazionali ci costringono.
So che è una chiosa piuttosto banale quella che sto facendo anche per il livello della conversazione che lei ci ha offerto, ma nel ringraziarla mi piace usare l'immagine a lei cara del giardino, perchè c'è un seme che, se seminato e ben coltivato nel cuore degli uomini, può germogliare.
Io ho lasciato il cuore in Palestina, anche davanti a quei muri ho visto gente capace di ricostruire dalle macerie. Mi auguro che non prevalga quell'indossare la casacca, quel fare il tifo, ma prevalga la voglia di lavorare dalla stessa parte: la pacificazione di due popoli.

La filosofia aiuta se la si sa usare.
Walter Benjamin ebbe un'intuizione quando parlò dei pescatori di perle.
Lui sosteneva che bisognava cercare di raccogliere le storie di bene, di andare nel mare a trovare queste perle e riportarle in superficie, perchè riportando in superficie queste storie dimenticate e sconosciute, queste storie le fai vivere; le fai diventare quasi un fatto politico.
Se tu racconti queste storie, tu cambi la percezione del mondo. Dando valore a Nevè Shalom, a queste realtà, non stai semplicemente raccontando storie di possibilità diverse, ma inserisci nella Storia queste storie.
E questo ha un effetto! Inserendole nella storia (perchè gli organi di informazione non lo fanno, il bene non è raccontato) mostri che esiste un'altra possibilità e anche se è minoritaria, quest'altra possibilità che tu racconti può far pensare diversamente.
Credo che questo sia un compito molto importante che dobbiamo portare avanti e che vale sempre, per qualsiasi conflitto, noi dobbiamo mostrare sempre le altre possibilità del mondo.
A me piace molto sognare! I Giardini dei Giusti, che sono nati da un sogno, mostrando i Giusti mostrano le altre possibilità dell'uomo e allora sta a noi divulgare queste storie e farle vivere nella società
Non si tratta solo di raccontare gli oppositori, si tratta di raccontare le storie per mostrare che gli uomini possono scegliere diversamente. Questi Giardini mostrano la speranza possibile o il bene possibile.
Ci prenderanno per pazzi, per sognatori, ma non è così è più reale di quanto si pensi.

Grazie per questa testimonianza di speranza. Penso che il dolore di questi giorni forse faticherà a passare. Forse non si potrà assolvere tutto, perchè da una parte e dall'altra alcune cose non troveranno assoluzione, nè nell'assedio di Gaza, nè nell'attacco di Hamas.
Però si può perdonare, per questo raccontiamo storie di riconciliazione e di perdono.

Chi avrebbe mai immaginato che gli ebrei e i tedeschi si riconciliassero dopo che abbiamo visto il più grande sterminio fatto dai tedeschi. Oggi gli ebrei tornano a vivere in Germania e la Germania è all'avanguardia nella battaglia contro l'antisemitismo. Chi l'avrebbe mai immaginato?
Oppure, chi avrebbe mai immaginato che dopo l'apartheid un uomo come Mandela riuscisse a riconciliare i bianchi e i neri. Chi lo avrebbe mai immaginato?
Allora se questo è successo in queste pagine negative della storia, perchè questo un domani non può succedere in Medio Oriente. Forse ci vorranno generazioni e dobbiamo avere pazienza, i cambiamenti non avvengono dall'oggi al domani, le ferite non si cicatrizzano dall'oggi al domani, non possiamo pensare che si risolva tutto con un colpo di bacchetta magica. Però se nel passato questo è successo, perchè non possiamo immaginare che possa succedere anche in Medio Oriente?
Io dico sempre che bisogna guardare il Medio Oriente sempre in modo universale, non come un fatto a parte, perchè la storia del Medio Oriente fa parte della storia umana e la storia umana ci ha mostrato come ci sono delle possibilità enormi che sembravano assolutamente impossibili.
Etty Hillesum, che scriveva questo bellissimo diario, aveva detto io lotterò contro l'odio, impedirò che l'odio ricada su di noi ebrei perchè l'odio è la più grande malattia…Io se troverò un tedesco buono lo difenderò anche se ci saranno nel mondo ebraico delle figure che non lo vorranno vedere perchè odiano i tedeschi, io però farò questo. Pensiamo alla disperazione di Etty Hillesum per quello che le stava succedendo e per quello che le sarebbe successo, ma quello che immaginava Etty Hillesum si è realizzato. C'è stata una conciliazione fra ebrei e tedeschi.
La storia ci dà degli strumenti per leggere anche il conflitto in Medio Oriente.

Contatti:
https://it.gariwo.net/ - sito Associazione Gariwo - la foresta dei Giusti

Sono tante le contraddizioni di questo conflitto, innumerevoli le immagini che passano su tutti i nostri schermi, comunque la si pensi, la conciliazione è il fine a cui tendere, per questo non possiamo che dire grazia a Gabriele Nissim per la sua appassionata testimonianza di apertura e dialogo.

BREVE BIOGRAFIA
Nato a Milano nel 1950, ha fondato nel 1982 l’Ottavo Giorno, una rivista sul tema del dissenso nei paesi dell’Est europeo. Storico e giornalista e storico, ha collaborato con il Giornale, il Corriere della Sera e Il Mondo. Nel 1999 ha fondato Gariwo e nel 2003 ha promosso a Milano la nascita del Giardino dei Giusti di tutto il mondo, che ha ispirato la nascita di centinaia di Giardini in tutto il mondo.
Dopo l’incontro a Gerusalemme con Moshe Bejski, il giudice a capo della Commissione dei Giusti di Yad Vashem, è stato promotore della campagna che ha portato alla proclamazione della Giornata europea dei Giusti (6 marzo, data della scomparsa dello stesso Moshe Bejski), istituita dal Parlamento Europeo nel 2012 e recepita nel 2017 dal Parlamento italiano.