INTERVISTA A LORENZO CREMONESI

ISMED-Mediazione / ADRMEDLAB - Interviste di Francesca Chirico
Il 15 gennaio è stato annunciato l’accordo fra Israele e Hamas per il cessate il fuoco che si svilupperà in tre fasi e partirà dal 19 gennaio.
Nell'attesa della firma che è arrivata il 17 gennaio abbiamo chiesto a Lorenzo Cremonesi di aiutarci a comprendere i termini dell'accordo, il contesto internazionale, le nuove dinamiche alla luce del nuovo mandato alla Casa Bianca di di Trump e le prospettive per la Cisgiordiania.
Tanti gli spunti che ci ha regalato spiegandoci quella che dice Biden è stata “una delle negoziazioni più difficili che abbia mai sperimentato”.

"Non c'è molto di nuovo in questo accordo, se ne parlava anche a maggio e avremmo risparmiato tanti morti, tante distruzioni avvenute e anche qualche ostaggio in più in mano ad Hamas sarebbe ancora vivo: è un piano molto politico, cinico sulla pelle della gente"

È di ieri l’annuncio dell’accordo fra Israele e Hamas per il cessate il fuoco che si svilupperà in tre fasi e partirà dal 19 gennaio. Con il gruppo di lavoro del Laboratorio ADRMedLab, in seno all’organismo Ismed e all’Università abbiamo immaginato che nessuno più di lei potesse aiutarci ad inquadrare bene alcuni aspetti legati al raggiungimento di questo accordo arrivato dopo più di un anno di guerra. Abbiamo approfondito spesso con lei dall’uscita del suo libro, Guerra infinita, anche tutti gli aspetti legati alla questione israelo-palestinese. I festeggiamenti che all’annuncio del primo ministro del Qatar Al Thani sono seguiti in tutte le principali città della Cisgiordania e nella Striscia, ma anche a Tel Aviv, forse sono riprova della stanchezza di due popoli, per differenti ragioni.
Allora le chiederei cosa prevede l’accordo, ma soprattutto siamo rimasti incuriositi dalla “rivendicazione” di Biden e Trump. Trump sui suoi social ritiene di aver dato lo slancio decisivo e sin dalla campagna elettorale al raggiungimento di questo accordo, Biden invece rivendica il lavoro fatto in questo anno di guerra per giungere alla tregua, definendo quella in corso “una delle negoziazioni più difficili che abbia mai sperimentato”.
Chi dei due ha ragione? E perché questa è la negoziazione più difficile per Biden?

Io ricordo due fatti che aiutano a dare una risposta secca a questa domanda, che è un po’ la domanda chiave della situazione odierna in Medio Oriente. Teoricamente, sempre che l’accordo venga firmato (noi sappiamo che in questi almeno 13 mesi di guerra da quando Israele e Hamas si sono parlati dal primo cessate il fuoco della fine di novembre, l’accordo è saltato, nel senso che tante volte sembrava vicino e poi non ha funzionato. Ma questa volta io sono abbastanza positivo, metto le mani sul fuoco che succederà: per un motivo molto semplice e sono due i fatti. Chi è che ha annunciato l’accordo addirittura anticipando di due ore Al Jazeera e i media? Trump.
Il 19 che cos’è? Sono 24 ore prima l’insediamento di Trump alla Casa Bianca.
Questo per dire che il vero vittorioso, il vero fattore chiave, critico e di successo che ha permesso di arrivare a questo accordo, è Trump.
È un accordo politico, che vede Netanyahu “regalare” al prossimo ed anche ex Presidente degli Stati Uniti il merito, l’aureola, la corona di questo successo. Per una ragione molto cinica che va a prescindere dal contenuto dell’accordo perché, come è stato anche sottolineato dalla stampa israeliana, non c’è molto di nuovo in questo accordo, se ne parlava anche a maggio.
E mentre a maggio avremmo risparmiato tante morti, tante distruzioni che invece sono avvenute (non dimentichiamo che nelle ultime ore sono morte 82 civili palestinesi, donne e bambini, per i bombardamenti degli israeliani, e probabilmente anche qualche ostaggio ebreo in più in mano ad Hamas sarebbe ancora in vita. Questo per dire che è un piano molto politico, molto cinico sulla pelle della gente in cui Netanyahu regala all’amico Trump, che non è semplicemente l’amico Trump, è l’uomo, il presidente che ha portato l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme nel 2017/2018 al tempo del suo primo mandato, che ha riconosciuto la legittimità della sovranità israeliana sulle alture del Golan, strappate alla Siria nel 1967 e che con i famosi accordi di Abramo aveva sostanzialmente accettato di cancellare, di eliminare la questione palestinese trattando la regolarizzazione e il riconoscimento di Israele in Medio Oriente da parte del mondo arabo, soprattutto dell’Arabia Saudita, dei Paesi del Golfo, delle vecchie potenze sunnite. Quindi, di questo accordo non importa tanto i contenuti, l’importante è che avviene – e io lo davo per scontato da mesi - nel momento in cui Trump diviene presidente. È un accordo diviso in tre fasi: la prima fase durerà tre settimane, saranno liberati i primi 33 ostaggi di quelli trattenuti a Gaza su un centinaio, vivi o morti, dove o chi non sappiamo sono tutti numeri aleatori. Questi 100 ostaggi probabilmente non sono più in vita, probabilmente neanche Hamas sa dove siano di preciso, perché Hamas è stata disgregata, sfilacciata, segmentata dalla guerra. Hamas come organizzazione funziona all’ombra di se stessa, di quello che era un anno e mezzo fa.
Non c’è dubbio che Biden ha provato, ha fallito, non ci sarebbe stato l’accordo se Biden fosse durato altri sei mesi; quindi, tutto è legato sostanzialmente soltanto a Trump.
E questo va nella direzione della seconda osservazione che mi viene da fare, perché Netanyahu oggi è molto più popolare di prima: ha vinto Hezbollah, ha battuto l’Iran, grazie alle operazioni che ha condotto contro l’asse degli alleati dell’Iran ha contribuito ha contribuito alla defenestrazione di Bashar al Assad il grande alleato degli iraniani e di Hezbolla in Libano. Netanyahu oggi è molto popolare, non è più il leader indebolito, marginalizzato dall’attacco del 7 ottobre, accusato e sotto l’ombra di una commissione d’inchiesta sui fallimenti di politica e vertici per non avere capito la minaccia di Hamas e che Hamas stesse preparando quell’operazione. E conta in questa grande alleanza di poter fare a meno degli estremisti, di Smotrich e di Ben Gvir, i ministri dell’estrema destra, i partiti messianico nazionalisti che sono quelli che hanno creato più problemi e che oggi si oppongono all’accordo; tant’è che Netanyahu è pronto a sfidare la fiducia e quindi a perdere il suo governo e andare avanti sapendo che Trump è con lui. E qu si apre tutta una questione politica a cui Netanyahu sta lavorando, che non è più Gaza, è la Cisgiordania, perché tutto il mondo con gli osservatori più attenti, sanno bene che Netanyahu e certi governi di destra eliminano dal loro vocabolario e dalla loro agenda politica la questione dei due Stati. Gaza è vista come una grande prova generale di quello che avverrà in Cisgiordania. Bisogna “svuotare” la Cisgiordania e Gaza il più possibile della sua popolazione palestinese per inficiare, per impedire la nascita di uno stato palestinese. L’opzione dei due stati non c’è più.
E Netanyahu forte di questo si augura che Trump, come aveva fatto capire nel primo mandato, oggi sia più sicuro di prima di questo sostegno. Il che non è affatto detto. Lo era nel 2017/2019, non lo è oggi perché Trump è più forte, perché ha meno bisogno del voto ebraico, perché è al suo ultimo mandato quindi non ha molto da perdere e soprattutto i partners arabi, l’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo, sono cambiati. Se l’Arabia Saudita era pronta a firmare per un discorso pecuniario di interesse immediato, prima del 7 di ottobre oggi dice il nostro riconoscimento ci sarà soltanto quando inizierà un colloquio di pace come ai tempi di Oslo nei primi anni 90 con la parte palestinese, con la parte araba per la partizione della terra.
Netanyahu non vuole questo, Trump sarà abbastanza prono ad ascoltare non tanto le ragioni di Hamas o dei palestinesi, ma dell’Arabia Saudita dove c’è il petroldollaro, che è un partner commerciale privilegiato degli Stati Uniti e quindi tutto questo sostegno che lui, si dava per scontato, era pronto a garantire agli israeliani sull’annessione della Cisgiordania cuore pulsante dell’identità israeliana da non rendere mai più non ci sarà forse tanto e questo è il nodo del futuro di cui non sappiamo. È la stessa domanda: cosa farà Trump, davvero lascerà nei guai l’Ucraina? Davvero taglierà i fondi? Vuole che la Russia vinca?
Dobbiamo vedere cosa Trump farà circa i due Stati e il discorso dell’organizzazione dei territori occupati dopo la fine del conflitto, dopo il cessate il fuoco, ma certamente Netanyahu punta su Trump per la sua carriera politica e crede che un’America che lo sostiene lo aiuterà anche a vincere le lezioni e a evitare un processo e a evitare il carcere, ricordiamoci che oggi Netanyahu rischia il carcere.

Approfondiamo il rapporto con Ben Gvir e Smotrich. Ben Gvir ha ribadito che intende lasciare il governo se l’intesa sarà sottoscritta, mentre Smotrich era apparso più cauto mentre invece oggi anche lui si è irrigidito sulle sue posizioni. Ma appare strano che si ceda proprio adesso; forse il primo mandato di Trump e quello di cui lei ci parlava, il riconoscimento della sovranità su Gerusalemme Est e sulle alture del Golan e anche il rifiuto degli Stati Uniti di definire ‘illegali’ gli insediamenti in Cisgiordania sono state vittorie per l’estrema destra allora ed ora al governo; quindi, forse la presenza di Trump renderà più duttile l’estrema destra israeliana. Quindi le chiedo, questo governo con la figura di Netanyahu più forte e riabilitata potrà “tenere” e che la destra israeliana sia più forte?
Dopo la debacle del 7 ottobre tutti davano Netanyahu, passato dal 60% al 20% in caduta libera. I sondaggi dopo i successi in Libano, Hezbolla in ginocchio, la caduta di Bashar al Assad , dopo le due ondate di bombardamenti di Israele fra la primavera e l’estate sull’Iran hanno distrutto fabbriche, basi militari, rampe missilistiche sono stati davvero drammatici e hanno messo davvero in ginocchio l’Iran. Oggi Netanyahu è molto più popolare.
È un Netanyahu che va a dire ai suoi concittadini elettori (persino a quelli della sinistra, quella moderata, non la sinistra che è per il dialogo con i palestinesi per i due stati a tutti i costi e c’è tutto un centro grigio di israeliani che soprattutto dal 7 di ottobre, ma anche prima si è spostato più a destra è diventato molto più nazional religioso) che Israele vedrà in Trump un alleato. Certamente, in questo momento, Netanyahu si percepisce come il grande alleato di Trump, l’uomo che può parlare con Trump, l’uomo che può ottenere tutto da Trump compresa l’annessione della Cisgiordania e di Gaza e la fine del sogno di uno stato palestinese. In questo momento, non so nel lungo periodo, ma certamente nel breve e medio periodo Netanyahu vincerà. Israele chiede un uomo forte, Israele è spaventato, Israele è sgomento, non ha ancora superato il trauma del 7 di ottobre e Netanyahu è l’uomo che ha dato delle risposte.
Si era detto all’inizio che più lui prolungava la guerra più lui sopravviveva: questo di dover sopravvivere perché “se mollo muoio” non c’è più; oggi Netanyahu è molto più forte e io credo anche che se si andasse alle lezioni, lui potrebbe ritornare ad avere quella posizione di forza che gli garantirebbe di governare senza il ricatto e senza dipendere dall’estrema destra messianico-religiosa, questo connubio molto pericoloso fra nazionalismo laico e messianismo religioso.
Se Netanyahu con il Likud, con il centro destra riesce ad avere più voti, può essere un uomo che parla di dialogo, che non è più estremista come i super nazionalisti che danno fastidio. Non dimentichiamo che Trump con tutto il suo fervore di destra, America First, non vuole la guerra, non vuole lo scontro a tutti i costi. Lo scontro “costa”; costa alle casse americane, costa in termini di vite, costa in spreco di materiali, lui vuole dare una politica di “potenza”, ma non di impegno militare tout court. E soprattutto, non dimentichiamo che l’interesse maggiore di Trump non è il Medio Oriente e certamente non è Israele, cosa che invece era per Biden che aveva la memoria del rapporto con Golda Meir già negli anni 60'/70’: il suo problema maggiore rimane la Cina.
Tutto quello che distoglie l’America, i suoi militari, i suoi politici, la sua diplomazia dalla Cina è un problema; perché distoglie energie, perché è uno spreco. Quindi Trump cerca a tutti i costi di pacificare, di controllare, di mettere in un cubo di cristallo il Medio Oriente, per poi occuparsi del vero problema che a suo dire – giustamente - è la grande economia cinese, un paese molto più popoloso degli Stati Uniti, ricco di materie prime, che controlla il Pacifico e che rappresenta un problema per gli interessi americani non soltanto nel Pacifico, ma globali. Quindi è lì a cui Trump guarda tutto il resto è un diversivo che lo distoglie da questa attenzione molto forte che lui ha nei confronti della Cina.

Nel suo libro Guerra Infinita lei dice che le maggiori crisi internazionali vedono un’Europa “imbelle”, “passiva”, addirittura “impotente” e, in effetti, la parola Europa è l’unica che lei non ha citato nel corso di questa intervista: abbiamo citato tutti gli attori internazionali e l’Europa, anche questa volta, resta fuori dai negoziati, ha un ruolo assolutamente marginale in questa questione.
Totalmente si! Nel libro che è uscito ormai due anni fa lo accennavo, ma la realtà è questa.
La vittoria di Trump ripropone e rafforza una delle questioni di base degli ultimi anni e cioè l’indebolimento degli organismi internazionali. Basti pensare il modo in cui è stata snobbata anche adesso dal Governo Meloni la decisione dell’Alta Corte di Giustizia dell’Aja nei confronti di Netanyahu per il genocidio compiuto a Gaza; basti pensare il modo in cui tranquillamente Israele e il suo Primo Ministro snobbano, prendono in giro, offendono le Nazioni Unite, l’UNRWA, l’attività umanitaria, l’attività delle forze internazionali non rispettando le loro azioni, tant’è che ora Netanyahu è incriminato. Per l’alta corte è un criminale da mettere in carcere, processare esattamente come Putin, eppure tutto questo passa in cavalleria, non ha nessun peso e l’Europa, che invece crede nella soluzione pacifica dei conflitti, quindi negli organismi internazionali, quindi nella coercizione della coalizione di Stati con delle regole internazionali condivise, il diritto internazionale per cui tu non puoi conquistare manu militare un territorio ed è la stessa logica per cui l’Europa continua ad essere critica sull’invasione dell’Ucraina da parte di Putin. Netanyahu ha compiuto negli ultimi mesi, dalla caduta di Bashar al Assad, degli atti gravissimi, ha violato alcuni dei principi che l’Europa considera sacri, per esempio ha invaso la fascia demilitarizzata e anche oltre, monte Hermon nella Siria di Al Julani, del nuovo esecutivo che ha defenestrato Bashar al Assad l’8 di dicembre e nessuno ha detto niente. L’Europa non c’è, l’Europa non riesce ad avere una voce unica, siamo tutti corsi come dei soldatini verso la Turchia quando è stato defenestrato Bashar al Assad. Anche se la Turchia è il paese che attacca i curdi, che viola le regole dei giornalisti siamo tutti corsi alla corte di Erdogan. E l’Europa oggi, in ordine sparso, affronta la questione Netanyahu, e Trump vuole questo. Basti vedere il caso della collega Cecilia Sala e il rapimento in Iran, il rapporto privilegiato non con l’Europa, ma con Giorgia Meloni. Giorgia Meloni è il cavallo di Troia di Trump per entrare in Europa e scardinare. Non parla con Ursula Von Der Leyen, non parla con la Commissione Europea, parlo con i singoli governi. Quindi siamo in un momento di indebolimento dei grandi organismi internazionali preposti a trovare soluzioni pacifiche alle tensioni e ai conflitti. In questo indebolimento, ovviamente, rientra l’Europa che non investe in spese militari, non ha un suo esercito, è litigiosa e divisa al suo interno; lo è sull’Ucraina, ma lo è forse ancora di più sul Medio Oriente.

Anche questa volta Lorenzo Cremonesi ci ha aiutato ad approfondire con immediatezza e grande Ci siamo dati appuntamento per capire come cambierà lo scenario internazionale nei prossimi mesi. Trump ha scritto sui suoi social: “Continueremo a promuovere la pace attraverso la forza in tutta la regione” da qui ai prossimi mesi la situazione si evolverà, lo scenario in Medio Oriente

Di seguito la video intervista a Lorenzo Cremonesi. Ci siamo lasciati con l'impegno a commentare gli ulteriori sviluppi dei prossimi mesi anche in relazione alla frase postata da Trump sui suoi social: “Continueremo a promuovere la pace attraverso la forza in tutta la regione, mentre sfruttiamo lo slancio di questo cessate il fuoco per espandere ulteriormente gli Accordi storici di Abramo. Questo è solo l’inizio di grandi cose a venire per l’America e, in effetti, per il mondo”.

Contatti:
Gli editoriali di Lorenzo Cremonesi sul Corriere: > Link

BREVE BIOGRAFIA
Lorenzo Cremonesi
 (Milano, 1957), giornalista e scrittore. Laurea in Filosofia che gli consente di raccontare i conflitti con l'occhio attento del cronista e con l'introspezione e la profondità dell'umanista.
Segue dagli anni settanta le vicende mediorientali. Dal 1984 collaboratore e corrispondente da Gerusalemme del Corriere della Sera. Nel 1991 si occupa dell'Iraq allargando la sua sfera di competenza alle maggiori vicende dell'area, dall’Afghanistan, all'India, al Pakistan.
Ha scritto diversi volumi sulla questione palestinese fra i quali Le origini del sionismo e la nascita del kibbutz (1881-1920) e Guerra infinita - Quarant’anni di conflitti rimossi dal Medio Oriente all’Ucraina.